La scena si apre su di una splendida ed elegante stanza salotto illuminata dall’imponenza di un enorme quadro raffigurante il martirio di San Sebastiano, non a caso la scelta del quadro raffigurante il santo martire cristiano, intercessore e santo protettore dalla comunità omosessuale, appartenenza ad oggi non riconosciuta dalla chiesa cattolica. La commedia di Oscar Wilde, discusso poeta, scrittore e giornalista, fu acclamata dalla critica, ma l’infamia di sodomia bloccò l’evolversi del suo successo.
Marinella Bargilli, veste gli abiti di Algernon, l’amico di Jack, ed il fatto che sia una donna, conferisce maggiormente un senso di femminilità ad un personaggio che presenta un comportamento ed un tratto prevalentemente maschile quasi ad evidenziare che in ogni corpo esiste una dominante maschile e una femminile e ciascuno possiede un personale equilibrio tra le due.
Lo spettacolo è collaudato da dieci anni e questa nuova edizione presenta degli elementi innovativi, ma mantiene la leggerezza voluta dall’autore e dal regista, lo stesso Geppy Gleijeses che veste anche i panni del protagonista.
Nel salotto viene rappresentato un momento di quotidianità familiare in una casa benestante, dove il protagonista interroga, mentre fuma con il narghilè, il cameriere sullo smodato consumo di champagne da parte della sua servitù, evidenziando il livello sociale dell’ambientazione del racconto. I due mondi però, quello della servitù e quello del padrone di casa, trovano un accordo di pensiero sull’argomento matrimonio, e su come per raggiungere uno stato di beatitudine bisogna in qualche modo fingere, e se proprio non si riesce, divorziare.
Il dialogo prosegue poi con l’arrivo dell’amico Jack, e da quel momento, un gioco di parole e di fraintendimenti prende spassosamente corpo, in quella inflessione simile di parola che scorre nella pronuncia inglese, tra il nome Ernesto e l’aggettivo onesto.
La scena muta nel secondo atto, e viene impreziosita da uno sfondo tridimensionale rappresentante un bosco, da dove escono a tratti i personaggi.
Quello che si evince da questo racconto è che noi non siamo come gli altri ci vedono ma come ci immaginano in base a racconti altrui e noi, per non deluderli, spesso interpretiamo dei ruoli che non ci appartengono, e così a volte capita, paradossalmente, di scusarci, come dice il protagonista, quando a volte diciamo la verità.
©Laura Poretti Rizman
“Un grande classico di Oscar Wilde – definito “la più bella commedia di tutti i tempi” – arriva il 19 febbraio al Politeama Rossetti per il cartellone Prosa del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Si tratta de L’importanza di chiamarsi Ernesto, nell’allestimento di Geppy Gleijeses che figura anche fra i protagonisti assieme a Marianella Bargilli e Lucia Poli”.
Ritorna a Trieste dopo tredici anni e in un allestimento nuovo e arricchito uno dei più amati classici del teatro europeo, L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde, nella regia di Geppy Gleijeses che ne è anche uno dei protagonisti assieme a Marianella Bargilli e Lucia Poli. In scena da mercoledì 19 a domenica 23 febbraio, lo spettacolo è ospite del cartellone Prosa del Teatro Stabile regionale e declina i temi dell’amore all’ironia come solo Oscar Wilde sapeva fare.
«Solo con le commedie brillanti entrò nella breve fase penultima della sua vita: il lusso e la ricchezza» affermava James Joyce in un articolo scritto in italiano per Il Piccolo della Sera di Trieste, nel 1909. «Il ventaglio di Lady Windermere prese Londra d’assalto. Il Wilde entrando in quella tradizione letteraria di commediografi irlandesi che si stende dai giorni di Sheridan e Goldsmith fino a Bernard Shaw, diventò, al par di loro, giullare di corte per gli inglesi. Diventò un arbitro d’eleganze nella metropoli e la sua rendita annua, provento dei suoi scritti, raggiunse quasi il mezzo milione di franchi. Sparse il suo oro fra una sequela di amici indegni. Ogni mattina acquistò due fiori costosi, uno per sé, l’altro per il suo cocchiere; e persino il giorno del suo processo clamoroso si fece condurre al tribunale nella sua carrozza a due cavalli col cocchiere vestito di gala e collo staffiere incipriato». Lo scrittore era morto da nove anni e Joyce ne tratteggiava l’eccentricità, ma dava atto anche del suo incredibile talento letterario e ne biasimava la fine, perseguitato, disconosciuto, abbandonato da tutti.
L’importanza di chiamarsi Ernesto rappresenta proprio l’estremo momento della gloria dell’autore, forse il più alto vertice della sua antesignana intuizione drammaturgica, e l’attimo anche della sua caduta.
Messa in scena con enorme successo il 14 febbraio del 1895 a Londra la commedia fu infatti sospesa dopo sole sei repliche in seguito allo scandalo del processo contro Lord Queensberry che aveva pubblicamente tacciato Wilde di sodomia: ma teatralmente parlando, sarebbe stata l’inizio di chissà quali evoluzioni.
Non a caso viene definita la più bella commedia di tutti i tempi. È leggera, surreale nei dialoghi (che Wilde voleva recitati con naturalezza), tutti splendidamente costruiti sulla satira, sul gioco di parole, sul ritmo, su un susseguirsi incredibile di paradossi.
Può una giovane impuntarsi su un nome – Ernest, che in inglese si pronuncia come “earnest”, ossia onesto – a tal punto da decidere di sposare solo l’uomo che lo porterà?
Al contrario della Giulietta shakespeariana, per cui non aveva alcun valore il nome dell’amato, la bella Gwendolen figlia di Lady Bracknell, sì: prende tale decisione. E getta nello sconforto il povero Jack Worthing, che peraltro non conosce le proprie vere origini, ed è innamorato di lei. Si finge naturalmente un “Ernest” e la corteggia con la connivenza dell’amico Algernon e da quell’inganno parte il vortice di intrighi ed equivoci della commedia, elegante e godibile come nessuna.
Per Geppy Glejieses l’allestimento de L’importanza di chiamarsi Ernesto è stato un significativo successo: oltre dieci anni fa totalizzò numeri da record in molti teatri italiani. L’affronta ora nuovamente in un’edizione preziosa e rinnovata, in cui recita accanto a Marianella Bargilli e a Lucia Poli.
I ruoli sono così distribuiti: Marianella Bargilli (Algernon), Orazio Stracuzzi (Lane/Merriman), Geppy Gleijeses (Jack), Lucia Poli (Lady Bracknell), Valeria Contadino (Gwendolen), Renata Zamengo (Miss Prism), Giordana Morandini (Cecily), Luciano D’Amico (Chasuble).
L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde è tradotto da Masolino D’Amico, la proiezione scenica è di Teresa Emanuele, i costumi di Adele Bargilli, le musiche di Matteo D’Amico, firma le luci Luigi Ascione. Lo spazio scenico, come la regia, è concepito da Geppy Gleijeses.
Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Quirino – Vittorio Gassman.
Lo spettacolo va in scena dal 19 al 23 febbraio al Politeama Rossetti per la stagione Prosa dello Stabile regionale. Da mercoledì a sabato lo spettacolo va in scena alle 20.30. Giovedì anche alle ore 16, mentre domenica la replica è esclusivamente pomeridiana.
Biglietti ancora disponibili presso i punti vendita e i circuiti consueti dello Stabile regionale.