
Ed anche molti, innumerevoli ed intensi i pensieri d’ amore che si elevavano, quel pomeriggio, fino alle rade nuvole presenti nel cielo e che volavano ancora in alto, lassù, in alto… fino ed oltre le stelle della sera, le stelle della speranza per un mondo di eguaglianza e libertà, senza più sciocchi e inutili appellativi di “clandestino” né guerre o avvoltoi mascherati e chiamati poi missioni di pace.
I cuori di tutti, infine, battevano con ansia per l’angoscia di fronte all’orrore che sembra di nuovo tornato a Trieste. Perché non lo vogliamo quell’orrore e con forza e determinazione lo vogliamo respingere, orrore di sapore razzista, e poi, se per caso volesse affacciarsi e fermarsi sulle teste di noi, anziani e giovani, andrà fermato e sconfitto, allontanato anche dai nostri figli. Alina Bonar Diachuk, quella mattina del 16 aprile, ha già urlato il suo fermo e deciso rifiuto! Ha preferito, di fronte al muro di indifferenza e di vuote attese, muro di burocratica e algida incomprensione, che a lei si presentava quella mattina d’aprile, ha preferito porgere alla fredda cordicella che portava nella felpa, il suo tenero collo e, come una resistente della guerra di liberazione, ha scelto la libertà, un mondo senza repressione e violenza, ingiustizie di sorta o diseguaglianze. Come i partigiani prigionieri e presi in ostaggio in quell’anno 1944, impiccati e poi appesi all’interno del “Conservatorio Tartini” di via Ghega, senza alcuna pietà lungo le scale, si è abbandonata alla stretta mortale della corda. Con un gesto liberatorio e insieme di ribellione, atto rivoluzionario, ha scelto un mondo senza orizzonti e senza i confini sciocchi dei nulla-osta o dei decreti delle vergognose espulsioni. Se n’è andata via per sempre, con disperazione ma con dignità. Addio Alina, giovinezza nostra, addio.
I cuori di tutti, infine, battevano con ansia per l’angoscia di fronte all’orrore che sembra di nuovo tornato a Trieste. Perché non lo vogliamo quell’orrore e con forza e determinazione lo vogliamo respingere, orrore di sapore razzista, e poi, se per caso volesse affacciarsi e fermarsi sulle teste di noi, anziani e giovani, andrà fermato e sconfitto, allontanato anche dai nostri figli. Alina Bonar Diachuk, quella mattina del 16 aprile, ha già urlato il suo fermo e deciso rifiuto! Ha preferito, di fronte al muro di indifferenza e di vuote attese, muro di burocratica e algida incomprensione, che a lei si presentava quella mattina d’aprile, ha preferito porgere alla fredda cordicella che portava nella felpa, il suo tenero collo e, come una resistente della guerra di liberazione, ha scelto la libertà, un mondo senza repressione e violenza, ingiustizie di sorta o diseguaglianze. Come i partigiani prigionieri e presi in ostaggio in quell’anno 1944, impiccati e poi appesi all’interno del “Conservatorio Tartini” di via Ghega, senza alcuna pietà lungo le scale, si è abbandonata alla stretta mortale della corda. Con un gesto liberatorio e insieme di ribellione, atto rivoluzionario, ha scelto un mondo senza orizzonti e senza i confini sciocchi dei nulla-osta o dei decreti delle vergognose espulsioni. Se n’è andata via per sempre, con disperazione ma con dignità. Addio Alina, giovinezza nostra, addio.
Claudio Cossu