I bambini della Risiera

“Accolto con grande successo lo scorso anno, dal 27 al 30 gennaio ritorna in scena I bambini della Risiera scritto e diretto da Noemi Calzolari, che viene presentato dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Comune di Trieste – Area Educazione, Università e Ricerca nell’ambito delle manifestazioni legate al Giorno della Memoria. Lo spettacolo interpretato da da Sara Alzetta e da venti allievi del l’Associazione StarTs Lab, ripercorre le testimonianze dei piccoli passati per la Risiera di San Sabba”
Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e il Comune di Trieste – Area Educazione, Università e Ricerca assieme all’Associazione StarTs Lab ripropongono – dopo il successo ottenuto lo scorso anno nell’unica rappresentazione – I bambini della Risiera scritto e diretto da Noemi Calzolari.
Lo spettacolo si inserisce nell’ambito delle manifestazioni legate al Giorno della Memoria 2015 e va in scena per quattro giornate, da martedì 27 a venerdì 30 gennaio.
Martedì e venerdì le recite saranno serali, aperte a tutti gli interessati, con inizio alle ore 19, mentre mercoledì e giovedì saranno riservate alle scuole, in orario pomeridiano con inizio alle 14.30.
I bambini della Risiera vede in scena l’attrice Sara Alzetta, il violinizta Tony Kozina e una ventina di bambini, allievi Laboratorio StarTs Lab che – diretto da Luciano Pasini – che opera in collaborazione con lo Stabile regionale educando i giovanissimi al teatro. Sono i loro occhi a osservare e riportarci una delle pagine più dolorose della storia dell’uomo, attraverso testimonianze di piccoli innocenti, che hanno vissuto l’esperienza del nazismo e della Risiera di San Sabba.
Sono ancora vive persone che da piccole sono passate da San Sabba con destinazione altri campi, principalmente Auschwitz. Abitano, la gran parte, in regione, ma la loro provenienza è più ampia. Sono originarie, per esempio, di Venezia o Fiume, città quest’ultima, che ospitava, fino alla guerra, una comunità ebraica numericamente consistente, seconda, nelle Venezie, solo a quella di Trieste e che è stata molto falcidiata.
Per quei bambini e ragazzi che hanno vissuto la drammatica esperienza della guerra e della detenzione, e che sono passati per la Risiera, questo luogo ha rappresentato il momento della perdita dell’infanzia e – ancor peggio – della famiglia e spesso di ogni riferimento affettivo ed esistenziale. Li aspettava infatti l’esperienza orribile dei campi di concentramento di Auschwitz, ma anche di Bergen Belsen e Ravensbruck. Purtroppo sono state numerose queste vittime dell’odio razziale.
Sappiamo anche, da testimonianze ed evidenze storiche, che nello stabilimento triestino – unico provvisto di forno crematorio nell’Europa occidentale – sono stati uccisi alcuni bambini. Del resto, in tutti i territori occupati o annessi al Reich, i piccoli erano il primo bersaglio. Prima dei vecchi, dei malati, degli inadeguati ad essere sfruttati come forza lavoro. Il farmacista di Auschwitz, dr. Viktor Capesius, dichiara al processo di Francoforte: «Solo gli abili al lavoro non venivano selezionati per il gas. Tra gli abili al lavoro non rientravano, in primis, i bambini al di sotto dei 14 anni».
È un coefficiente assoluto, seppure poco noto: i bambini e i ragazzi di età inferiore ai 14 anni rappresentano quasi un terzo delle vittime dello sterminio. Poco noto nonostante in ognuno dei luoghi della concentrazione ci siano stati ragazzi che, pena rischi estremi, hanno scritto, annotato e nascosto le loro testimonianze.
Nella stesura del soggetto – che nasce da una lunga e attenta ricerca di Noemi Calzolari – si è selezionato il materiale da raccolte di diari e scritti di bambini e ragazzi. Sono diari sorprendenti nella loro schiettezza, coraggiosi nel tentativo di ordinare la follia e il caos, straordinari nella consapevolezza che, se ogni giorno può essere l’ultimo, si deve cercare di sopravvivere nella memoria.
Scrive, per esempio, il bambino Isacco, prima di essere rinchiuso e ucciso a Ponar: «Non penso a niente: non a ciò che sto perdendo, non a ciò che ho perduto, non a quello che mi aspetta. Sento solo che sono terribilmente stanco, sento che un’offesa, una ferita mi brucia dentro».
Esiste anche materiale iconografico che verrà proiettato nel corso dello spettacolo. Foto dei deportati, filmati della macchina bellica del Reich – Wehrmacht in marcia, panzer, rastrellamenti. L’uso di materiale iconografico è in questo caso particolarmente appropriato:  immagini della Storia che ha frantumato vite, distrutto o disgregato intere comunità, sradicato popoli dalla propria terra.
Storia con la “S” maiuscola, come testimonia l’impegno e il rigore che il Reich ha riservato nell’organizzazione e conduzione del Campo di concentramento, smistamento e sterminio della Risiera di Trieste, schierandovi alcuni dei suoi specialisti di massimo livello: Odilo Lotario Globocnik dell’Einsatzkommando Reinhard (che con l’Aktion Reinhard aveva organizzato e diretto l’eccidio di due milioni e mezzo di persone in Polonia, nel distretto di Lublino, che contava i campi di Maidanek, Sobibor, Treblinka) poi Christian Wirth, noto come Der Wild Christian (il Cristiano Selvaggio), Franz Stangl – nome d’arte “la Belva di Treblinka” – Dietietrich Allers, l’efficiente promotore dell’Aktion Tiergarten T4, quell’operazione impropriamente nota come Operazione Eutanasia. Ma non va neanche dimenticato che se erano i tedeschi che ordinavano i rastrellamenti erano spesso le milizie e i collaborazionisti che frugavano nei nascondigli di sottotetti e cantine, spogliavano e non sempre malvolentieri, poiché per ogni ebreo catturato, vecchi, malati, donne e bambini, c’era una ricompensa in denaro.
Trieste, nell’ultimo anno di guerra, è uno dei luoghi quantomeno del ristoro tedesco. A ridosso della ritirata orientale, i soldati vi vengono inviati per licenze brevi: la memorialistica ritrae la cura con cui vengono preparati ricevimenti di gran mondanità alla Risiera, racconta le uscite eleganti degli ufficiali invitati alle feste di notabili cittadini. Non si può tacere che su questo sfondo tragico si muovono non solo collaborazionisti, commercianti, industriali, prostitute di alto bordo e trafficanti comuni, ma anche parte della popolazione che nell’ambiguità e nell’incertezza di giorni in cui tutto stava per cambiare, non vede o fa finta, aggrappandosi a un’illusoria normalità.
Del resto quanto è pesato ai nostri testimoni il silenzio che ha avvolto quegli avvenimenti di cui nessuno voleva più parlare!
A Berlino, dopo la caduta del Muro, furono ritrovati i sotterranei che erano stati teatro di interrogatori e torture da parte della Gestapo. Questi luoghi di violenza industriale e selvaggia, vennero denominati “spazi contaminati”: kontaminierte Ort.
I bambini della Risiera si propone, fra l’altro, una decontaminazione della memoria storica del nostro territorio. E vuole dare testimonianza di ciò che non deve essere dimenticato, proprio perché solo la memoria e la consapevolezza possono far sì che cose simili non accadano mai più.
Sarà particolarmente toccante che a dare voce alle piccole vittime, siano degli attori-bambini. Un raccordo storico, una sorta di spirito del tempo che unirà i loro racconti sarà interpretato da Sara Alzetta, attrice professionista che spesso abbiamo applaudito in scena allo Stabile regionale.
I bambini – una ventina – del Laboratorio StarTs Lab saranno protagonisti anche di alcuni momenti musicali, con canti della tradizione ebraica in cui li ha preparati Daniela Ferletta.
Diretti da Noemi Calzolari, ammireremo dunque ne I bambini della Risiera Sara Alzetta, il violinista Tony Kozina ed i giovanissimi Loris Alberti, Alessio Bernardi, Evita Bertolini, Angela Cotterle, Erin Dorci, Margherita Girardelli, Virginia Lanza, Sofia Maiola, Elisa Manzin, Giulio Marino, Matilde Marino, Sofia Rosie Myers, Nicolas Pecar, Francesca Radoicovich, Jennifer Stigliani, Riccardo Tamaro, Caterina Trevisan, Anna Vlacci, Giulia Zerjal, Caterina Zoppolato, Filippo Zoppolato.
Lo spettacolo va in scena alla Sala Bartoli martedì 27 gennaio alle ore 19, mercoledì 28 e giovedì 29 gennaio alle 14.30 (recite riservate alle scuole), e venerdì 30 gennaio alle ore 19 al Politeama Rossetti. I biglietti si possono acquistare al prezzo unico di 5 euro presso i consueti punti vendita del Teatro Stabile regionale e attraverso il sito www.ilrossetti.it

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Recensione©Laura Poretti Rizman:

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Siamo alla presentazione del nuovo spettacolo presentato dall’Associazione StarTS lab, al Politeama Rossetti di Trieste e una scritta inneggia sul palcoscenico: Trieste, 18 settembre 1938.

Lo spettacolo inizia con una sequenza di immagini storiche che scorrono sullo sfondo; sono immagini del popolo triestino che osannava il nuovo potere fascista. I piccoli attori, tutti rigorosamente vestiti di nero, entrano in scena, si posizionano di fronte a queste immagini e con la mano tesa salutano il duce a gran voce.

Poi lo spettacolo entra nel vivo e questi bambini iniziano a parlare tra loro, alternando il dialetto alla lingua italiana, le canzoncine locali a quelle ebraiche. Si raccontano  e ci raccontano quei momenti vissuti attraverso i loro occhi, occhi che rimangono, per tutto il raccontare lo spettacolo, puri, increduli e attoniti del repentino cambiamento avvenuto e che li ha portati allo sterminio di razza senza rendersene conto.

Insieme a loro una strepitosa Sara Alzetta, si sdoppia ora assumendo il ruolo di nonna, ora di narratrice, e via via ci illustra il periodo storico visto da un lato di solito non affrontato, ovvero quello del popolo che appoggiava il regime e lo sterminio, facendo la spia e rubando quanto possibile, giustificando ogni azione con la scusa della sopravvivenza.

Una scenografia scarna, lascia spazio a uno studio di regia accurato nella coreografia dei movimenti.

Si danza in circolo cantando famose ballate ebraiche quali il pezzo del testo ebraico del Salmo 23 che le maestre ebree deportate nei campi di concentramento facevano cantare ai bambini.

Anche se andassi nella valle della morte,non temerei male alcuno,perche’ tu sei sempre con me. Perche’ tu sei il mio appoggio, il posto piu’ sicuro per me. Al tuo cospetto io mi sento tranquillo.

Questi splendidi bambini, ad uno ad uno, con la loro innocenza e la loro purezza, ci raccontano le brutture della guerra: strazianti racconti che sconvolgono gli animi e le coscienze.

Sara Alzetta, da parte sua, con grandissima professionalità, racconta del giorno della prima deportazione degli ebrei dalla Risiera di Trieste ad Auschwiz: è coinciso con  il giorno ebraico più santo e solenne dell’anno, quello dell’espiazione, giorno nel quale è proibita ogni cosa, e che si chiama Yom Kippur.

La musica dal vivo di un violino accompagna questo spettacolo fortemente emozionante in un crescendo di professionalità, purezza e semplicità che fa di questi piccolini già dei grandissimi artisti, grazie all’accompagnamento di validi insegnanti e collaborazioni.

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©Laura Poretti Rizman

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foto dal sito IlROSSETTI
foto dal sito IlROSSETTI

 

 

 

Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e il Comune di Trieste – Assessorato all’Educazione, nell’ambito delle manifestazioni per il Giorno della Memoria 2014, propongono lo spettacolo “I bambini della Risiera”, una produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia in collaborazione con l’Associazione StarTS Lab.

“I bambini della Risiera”, scritto e diretto da Noemi Calzolari, è il nuovo lavoro degli allievi del Laboratorio StarTs Lab che opera in collaborazione con lo Stabile regionale e ha realizzato recentemente spettacoli di grande successo come “Le avventure di Gian Burrasca” e “20.000 Leghe Sotto i Mari”.

Sulle vicende della Risiera di San Sabba c’è una memorialistica non molto ricca, ma sono ancora vive persone che da piccole sono passate da San Sabba con destinazione altri campi, principalmente Auschwitz. Abitano, la gran parte, in regione, ma la loro provenienza è più ampia. Sono originarie, per esempio, da Venezia o da Fiume, città che ospitava, fino alla guerra, una comunità ebraica numericamente consistente, seconda, nelle Venezie, solo a quella di Trieste e che è stata assai più falcidiata.

I bimbi e i ragazzi per i quali la Risiera è stata il luogo in cui hanno lasciato l’infanzia, la famiglia e ogni riferimento affettivo ed esistenziale per entrare nella notte concentrazionaria di Auschwitz, ma anche di Bergen Belsen e Ravensbruck, sono stati numerosi. Sappiamo anche, da testimonianze ed evidenze storiche, che, nello stabilimento triestino, dei bambini sono stati uccisi. Del resto, in tutti i territori occupati o annessi al Reich, i piccoli erano il primo bersaglio. Prima dei vecchi, dei malati, degli inadeguati ad essere sfruttati come forza lavoro. Il farmacista di Auschwitz, dr. Viktor Capesius, dichiara al processo di Francoforte: «Solo gli abili al lavoro non venivano selezionati per il gas. Tra gli abili al lavoro non rientravano, in primis, i bambini al di sotto dei 14 anni».

È un coefficiente assoluto, seppure poco noto: i bambini e i ragazzi di età inferiore ai 14 anni rappresentano quasi un terzo delle vittime dello Sterminio. Poco noto nonostante in ognuno dei luoghi della concentrazione ci siano stati ragazzi che, pena rischi estremi, hanno scritto, annotato e nascosto. Sono segni e espressioni di realtà ovunque le stesse perché le vicende si sono rifatte ovunque uguali migliaia, milioni di volte e perché ogni racconto, in ogni campo, vale per tutti.

Nella stesura del soggetto, si è pescato in raccolte di diari e scritti di bambini e ragazzi della più varia provenienza. Sono diari sorprendenti nella loro schiettezza, coraggiosi nel tentativo di ordinare la follia e il caos, straordinari nella consapevolezza che, se ogni giorno può essere l’ultimo, si deve cercare di sopravvivere nella memoria.

Scrive, per esempio, il bambino Isacco, prima di essere rinchiuso e ucciso a Ponar: «Non penso a niente: non a ciò che sto perdendo, non a ciò che ho perduto, non a quello che mi aspetta. Sento solo che sono terribilmente stanco, sento che un’offesa, una ferita mi brucia dentro».

Esiste anche materiale iconografico che verrà proiettato. Foto dei deportati, filmati della macchina bellica del Reich – Wehrmacht in marcia, panzer, rastrellamenti. L’uso di materiale iconografico è in questo caso particolarmente appropriato poiché si lavorerebbe con e sulla storia, la storia grande, che ha frantumato vite, distrutto o disgregato intere comunità, sradicato popoli dalla propria terra.

Storia grande come testimonia il fatto che nel campo di concentramento, smistamento e sterminio di Trieste il Reich ha schierato alcuni dei suoi specialisti di massimo livello: Odilo Lotario Globocnik, dell’Einsatzkommando Reinhard, che con l’Aktion Reinhard aveva organizzato e diretto l’eccidio di due milioni e mezzo di persone in Polonia, nel distretto di Lublino, che contava i campi di Maidanek, Sobibor, Treblinka, Christian Wirth, noto come Der Wild Christian (il Cristiano Selvaggio), Franz Stangl – nome d’arte “la Belva di Treblinka”, Dietietrich Allers, l’efficiente promotore dell’Aktion Tiergarten T4 – quell’operazione impropriamente nota come Operazione Eutanasia – per dirne due.

Ma non va neanche dimenticato che se erano i tedeschi che ordinavano i rastrellamenti erano spesso le milizie e i collaborazionisti che frugavano nei nascondigli di sottotetti e cantine, sfondavano false pareti, stanavano, spogliavano e non sempre malvolentieri, poiché per ogni ebreo catturato, vecchi, malati, donne e bambini, c’era una ricompensa in denaro. In fondo perché tacere?

Del resto Trieste, nell’ultimo anno di guerra, è uno dei luoghi se non della festa, quantomeno del ristoro tedesco. A ridosso della ritirata orientale, i soldati vi vengono inviati per licenze brevi: la memorialistica ritrae la cura con cui vengono preparati ricevimenti di gran mondanità alla Risiera, racconta le uscite eleganti degli ufficiali invitati alle feste dei notabili cittadini. Senza calcare troppo la mano su questo aspetto dell’idillio cittadino con l’orrendo mattatoio, non si può tacere che su questo sfondo tragico si muovono non solo collaborazionisti, commercianti, industriali, prostitute di alto bordo e trafficanti comuni, ma anche molta parte della popolazione che nell’ambiguità e nell’incertezza di giorni in cui tutto stava per cambiare, non vede o fa finta, aggrappandosi a un’illusoria normalità.

Del resto quanto è pesato ai nostri testimoni il silenzio che ha avvolto quegli avvenimenti di cui nessuno voleva più parlare. Soprattutto della collaborazione, che aveva procurato guadagni e affari a molti, e che è stata fin da subito rimossa dal ricordo collettivo. A Berlino, dopo la caduta del Muro, furono ritrovati i sotterranei che erano stati teatro di interrogatori e torture da parte della Gestapo. Questi luoghi di violenza industriale e selvaggia, vennero denominati “spazi contaminati”: kontaminierte Ort.

“I bambini della Risiera” si propone, fra l’altro, una decontaminazione della memoria storica del nostro territorio.

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