L’ultima notte, anatomia di un suicidio

foto dal sito IL ROSSETTI


Si parla di un uomo, ma potremmo parlare di molti.

Si riaccendono vecchi pezzi di storia attraverso vecchi filmati, per riacciuffare dalle ragnatele della memoria nomi infangati di un tempo che ancora popolano i nostri palchi politici amministrativi.

Si parla di comunicazione, di strategia. Ci si chiede cosa serva ad un uomo per avere credibilità: soldi, potere e tre televisioni, perlomeno.

Si parla di un uomo e di come lui abbia pagato per tutti gli altri del suo tempo e del tempo a venire, che continuano forse a comportarsi come o peggio di lui.

Si parla di moralità raccontando questa storia, come se la falsa morale non fosse accettata da ogni singolo pezzo della catena. Si parla di soldi, di  tanti soldi, di uomini che hanno giocato le sorti del paese, ma soprattutto si parla di rabbia del popolo, della sua incapacità a governarsi, ad essere migliore.

Si parla di Raul Gardini, della famiglia Ferruzzi, di Enimont. Si parla di potere e di solitudine.

Si parla di capri espiatori, di suicidi, che alla fine sono comunque sempre omicidi.

Si parla di ieri, dell’altro ieri, di oggi, e soprattutto di un domani che non vuole evolversi.

L’ultima notte di Raul Gardini è, secondo Augias, una notte di considerazioni personali e di rimprovero nei confronti degli altri, perchè in fondo in fondo nessuno è diverso, nessuno santo, quando si tratta di trovarsi di fronte alla possibilità di possedere il potere.

Quando si entra in sala, Raul è già sul palco, immerso in un cumulo di carte che continua a spargere sul pavimento del palcoscenico, mentre una luce fortissima acceca tutti impedendo di poter vedere quello che realmente sta accadendo.

In fondo è sempre così se ci pensiamo un attimo: il bagliore del successo ha sempre impedito alla massa di poter osservare realmente il groviglio che avvolge la matassa ingarbugliata. Solo con la volontà di cambiare posizione, vestendo degli occhiali che ci permettono di vedere meglio, riusciamo in parte ad osservare quello che accade, soltanto in parte però.

Lo spettacolo inizia con lo scemare della luce, e con lui che si volta, lentamente, verso il pubblico, rimanendo impassibile, in un silenzio che risulta durare un tempo infinito.

Lo sguardo fisso nell’immobilità d’espressione risulta pian piano insostenibile a gran parte del pubblico, mentre i ruoli si invertono e quello che doveva essere l’osservato da molti, diviene improvvisamente l’osservatore di tutti.

Iniziano i colpi di tosse, le risatine di imbarazzo, le mezze parole, poi, finalmente, lui inizia a parlare.

E parla molto, Raul. Parla come se fosse con se stesso, e non si fa mai nessuna colpa.

Osservando spezzoni di filmati tratti dai telegiornali del tempo ritroviamo volti conosciuti, forse ai molti dimenticati per quello scandalo.

Ci rendiamo improvvisamente conto che nulla è cambiato, ed a  pagare è stato uno soltanto.

Ci rendiamo improvvisamente conto che lo stesso format di scalata al potere è stato adottato da più persone, nel corso della storia.

C’è di nuovo un brusio in sala. Si odono nomi e riferimenti politici, bisbigliati nel buio.

Lo sparo in fondo, che conclude lo spettacolo, porta solo un po’ di pace. Un attimo soltanto, che poi ci sono le meditazioni a rovinarci il fegato.

Perchè in fondo il popolo, cosa è capace di fare?

 Laura Poretti Rizman

foto dal sito IL ROSSETTI

 

 Comunicato Stampa

Una figura entra in scena, spavaldamente, a passo celere: è Luciano Roman. Sarà la sensitiva adesione di questo ottimo interprete alle inquietudini del protagonista, ad accompagnarci lungo la parabola di un uomo che dalla ostentata sicurezza, arroganza dell’inizio, cederà progressivamente, svuotandosi.

La scena prosegue: l’uomo beve qualcosa, estrae una pistola e una mazzetta di banconote. Squilla il telefono. Si getta su una poltrona, affaticato. Accende una sigaretta, guarda un filmato: belle barche, vele che schioccano, ragazze in costume, capelli al vento… Risponde: «Stavo ricordando, che momenti, che avvenire …. Non ti preoccupare, torneranno vedrai. … Siamo troppo forti, ci sono troppi interessi … Se cado io ne porto a fondo parecchi… Non ci sono più innocenti, i peccati sono collettivi».

Che possa prevedere di usare su di sé quella stessa arma con cui ha sparato per rabbia al vuoto, è una inquietante intuizione che percorre quasi immediatamente lo spettatore.

Il teso soliloquio dell’uomo ha il tono, la cadenza, di chi stia finalmente facendo i conti con se stesso. Per compiacersi, o forse per trovare motivi di un coraggio che comincia a mancare. Il suo monologo è intervallato da proiezioni di filmati che rievocano momenti di vita, un’ascesa che per qualche anno è parsa inarrestabile. L’ascesa di Raul Gardini. Il pubblico indovina velocemente anche la sua identità e il tempo in cui ci troviamo: una notte molto simile a quella del 23 luglio 1993, a Milano…

A fare oggetto di teatro di una figura così vicina, amata, controversa poteva riuscire soltanto la scrittura sensibile ma anche determinata e meticolosa di Corrado Augias, un intellettuale, giornalista, drammaturgo che già è stato apprezzato sul palcoscenico dello Stabile regionale (lo ricorderemo autore e interprete nel febbraio 2010 dell’affascinante Le fiamme e la ragione e – assieme a Vladimiro Polchi con cui anche qui collabora – di Aldo Moro. Una tragedia italiana).

Il nuovo spettacolo, intitolato L’Ultima notte, anatomia di un suicidio analizza in 100 minuti proprio le ultime dolorose ore che hanno preceduto la definitiva scelta di Gardini. Le immagini e le parole che seguiremo sono spesso legate a trionfi velistici ed esistenziali, ma rievocano anche gli scontri e i pericoli della politica. Si capisce che la storia di quest’uomo esemplifica l’abbraccio tra potere e capitale, tra esigenze politico-sociali e avventura, brutalmente: tra politica e denaro. La storia di un equilibrio difficile, forse impossibile, un abbraccio che può diventare mortale.

Luciano Roman, con la misura e l’intelligenza che lo contraddistinguono, diretto sapientemente da Andrea Liberovici, rivive quei minuti lancinanti, e i ricordi, le riflessioni, le immagini che devono aver attraversato la mente del suo personaggio.

«L’ultima notte – sottolinea il regista Andrea Liberovici – è un testo di un’attualità impressionante: un’attualità che non risiede soltanto nelle analogie fra le crisi personali e sistemiche di questo Occidente, ma approfondisce anche l’aspetto personale, intimo e assolutamente tragico di un protagonista, che aveva tutto quello che si ritiene essere l’occorrente per la felicità, ma felice non lo era affatto. Il dialogo in scena fra il protagonista e la sua Ombra suggella quindi lo sgretolarsi delle fondamenta di un sistema di valori, ponendo a noi contemporanei la responsabilità di una nuova proposta».

Prodotto dallo Stabile genovese, L’ultima notte è uno spettacolo riconducibile alla nobile tradizione del teatro civile. Il suo tema centrale è offerto dalla discussa personalità di uno dei protagonisti della storia italiana del secondo Novecento. Scrivono gli autori Corrado Augias e Vladimiro Polchi: «Enrico Mattei diceva dei partiti italiani: “Li uso come un taxi”. Ma oggi – per mantenere il potere – non basta chiedere un passaggio, quel taxi bisogna guidarlo. Gardini nello spettacolo afferma: “Che ci voleva, tre mesi e trasformavo tutto in un partito. Si giocava alla pari, finalmente. Sai che ci vuole per comprarsi questo paese? Poco: una banca, una squadra di calcio, un giornale. Si gioca a tre punte…”. Ma l’Ombra è pronta a replicare: “Ti rendi conto di quanto costa la politica? Non dico finanziarla, dico farla! Non i giornaletti, i direttori che ti brucano in mano, che tiri giù dal letto quando ti pare… I telegiornali, i varietà, i grandi rotocalchi. I comizi, i manifesti, fanno ridere, soldi buttati. Devi creare il consenso, una visione del mondo, imporre il tuo copione alle signore che sfogliano i settimanali dal parrucchiere, devi far sognare i giovani, imbottirgli la testa, e che nessuno ti rubi mai la scena. Ripeti una bugia mille volte e diventa la verità”».

 

L’ultima notte, anatomia di un suicidio è un testo di Corrado Augias e Vladimiro Polchi, diretto da Andrea Liberovici – che cura anche i video (Teche Rai) e la scenografia acustica – e interpretato da Luciano Roman. La voce fuori campo è di Mario Menini. La scena ed i costumi sono di Guido Fiorato e le luci sono firmate da Sandro Sussi.

L’ultima notte, anatomia di un suicidio va in scena a Trieste, alla Sala Bartoli, ospite del cartellone altripercorsi dello Stabile regionale da martedì 29 novembre a  domenica 4 dicembre. Le repliche sono tutte serali con inizio alle 21 tranne quella di domenica che è pomeridiana e inizia alle ore 17.

La Stagione 2011-2012 del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia va in scena grazie al sostegno della Fondazione CRTrieste.

Tutta la stagione e le possibilità di adesione ai diversi cartelloni sono illustrate anche sul sito www.ilrossetti.it; inoltre il Teatro può essere contattato telefonicamente al centralino 040.3593511.

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