Spending review o destrutturazione del pubblico?

Spulciando i dettagli dei tagli alla spesa pubblica che si abbatteranno sul paese, vengono fuori alcuni elementi che gridano vendetta.

Le Regioni, ad esempio, vedranno ridotte le proprie risorse di 700 milioni di euro per il 2012 e di un miliardo a partire dall’anno prossimo. A questi tagli si aggiungeranno quelli sul Servizio Sanitario Nazionale già previsti in un altra parte del decreto sulla spending review. Ben 216 ospedali con meno di 120 posti letto verranno chiusi.

I tagli per i Comuni saranno di 500 milioni subito e di due miliardi per il 2013. Per le Province il taglio sarà di 500 milioni quest’anno e di un miliardo l’anno prossimo.

Quando si parla di tagli occorre andare a verificare quelle che sono le priorità ideologiche del governo.

Per renderli metabolizzabili ad una opinione pubblica che avrebbe buoni motivi per preoccuparsi e arrabbiarsi, queste priorità vengono definite “esigenze indifferibili” e quindi devono essere finanziate a qualsiasi costo. Si tratta di finanziamenti per 2 miliardi e 700 milioni di euro che andranno a finanziare per un miliardo le missioni di guerra in cui sono impegnate le forze armate italiane (Afghanistan soprattutto) per combattere le più ingiuste e inutili delle guerre, 400 milioni per il 5 per mille alle onlus (che sono in realtà soldi versati volontariamente dai cittadini), 200 milioni andranno al capitolo finanziamento delle scuole private, dieci milioni alle università private (Bocconi, Luiss etc.) e solo 90 per il diritto allo studio. Non sono quantificati i finanziamenti all’operazione Strade Sicure, che non riguarda la messa in sicurezza delle strade italiane, che pure ne avrebbero un gran bisogno, ma della presenza dei militari nelle strade delle grandi città davanti alle ambasciate o nelle stazioni. Non sono ancora noti i fondi stanziati per i terremotati dell’Emilia-Romagna. Quelli possono aspettare, forse non appartengono alla casta degli “indifferibili”.

Ma l’altro dato che va evidenziato quando si parla di spesa pubblica, è che ad assorbire gran parte delle risorse per le retribuzioni dei lavoratori pubblici o per la spesa previdenziale, sono i dirigenti. Si dirà che con la spending review i dirigenti subiranno un taglio del 20% mentre per i lavoratori il taglio sarà del 20%. Ma la realtà pregressa ci dimostra che anche in questo caso non vi è nessuna “equità”. Vediamolo in concreto.

Occorre partire da una domanda. Che cos’è la “ripesatura”? Secondo quanto diffuso dall’Usb, del Comune di Firenze è “il peso specifico che ogni singola posizione dirigenziale ha all’interno dell’Ente, e sulla base del quale viene attribuita una indennità di posizione variabile da circa 38.900 € a circa 50.600 € annue. Sulla base di questa ripesatura, l’Organismo Indipendente di Valutazione a seguito dell’attività svolta, ha evidenziato per 8 strutture Dirigenziali la necessità di dare un maggior peso alle stesse passandole da parametro B a parametro A e da parametro F a parametro E”. Tradotto in soldoni: “Ciò comporta un incremento annuale pari a 4.500 € per il passaggio da B ad A e di 3.300 € per il passaggio da F a Il provvedimento dirigenziale è stato approvato il 15 giugno scorso ma con decorrenza dal 3 Febbraio 2010 informa l’Usb.

Ma quello del Comune di Firenze, non è un episodio particolare. Lo indica anche un documento messo a punto dal Cnel (Comitato Nazionale Economia e Lavoro) proprio sulla spending review e consegnato al governo segnala come uno dei problemi dell’aumento della quota di spesa pubblica destinata alle retribuzioni dei lavoratori pubblici, non sia il loro numero che invece è al di sotto della media dei paesi industrializzati aderenti all’Ocse. Il problema è che “gli organismi dirigenziali delle amministrazioni centrali e degli enti pubblici si sono dilatati nel tempo per effetto dell’incremento delle funzione svolte, delle spinte interne ed esterne”. Troppi dirigenti dunque e troppi superstipendi conseguenti.

Il documento completo del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

La quota della torta delle retribuzioni dei lavoratori pubblici che i dirigenti si portano via ogni anno, è inversamente proporzionale ai fondi destinati al resto dei dipendenti.

Ma anche nel sistema previdenziale si evidenzia questa asimmetria. In Italia il 45 % dei pensionati (7 milioni e 425mila pensionati) che stanno sotto i 1000 euro si dividono solo il 22% della spesa totale. Le pensioni sopra i 2000 euro che sono pari al 16,75% del totale, assorbono il 33,49 della spesa totale. Il 4% delle pensioni (660mila trattamenti) che supera gli 8.000 euro mensili, inghiotte da solo il 30% delle risorse totali della spesa previdenziale. Vogliamo parlarne?

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