Dopo averlo scritto, nel 1912, Italo Svevo stesso l’aveva definito “fantasia in un atto”, tra triangoli amorosi e psicanalisi: “Terzetto spezzato”, con la regia di Elke Burul e interpretato da Marzia Postogna, Francesco Godina e Valentino Pagliei, approda al Teatro dei Fabbri di Trieste dal 17 al 19 marzo alle ore 20.30 come nuovo appuntamento della rassegna di teatro contemporaneo AIFABBRI2, dopo essere stato rappresentato con successo la scorsa estate al FestivalAct a Muggia e al Museo Sartorio.
La trama prende spunto dal classico triangolo “lui-lei-l’altro”, estremamente in voga nella letteratura a cavallo tra l’800 e il ‘900, cui Svevo riesce a dare un tocco di imprevista originalità, mescolando le umane miserie dei protagonisti con la parapsicologia. Il marito, commerciante di caffè, e l’amante, letterato presuntuoso ed inconcludente, sono due uomini mediocri ed egoisti, ammantati da quella meschinità tipica di tanti personaggi sveviani. Il terzetto, spezzato dalla morte di lei, si riunisce proprio in ragione di una seduta spiritica: mentre i due uomini attendono che il fantasma di Clelia si manifesti, discorrono di quelli che erano i rapporti di entrambi con la defunta e rievocano la loro amicizia, vuota e superficiale. Aggrappati a questa donna anche dopo la sua morte, marito e amante continuano a mostrare la loro aridità, esigendo dallo spettro di Clelia l’uno consigli sulla sua attività commerciale e l’altro sull’ultimo romanzo che sta scrivendo.
«È un divertissement che racchiude tutto lo spirito dell’epoca, la psicanalisi e la poetica di Svevo», dice la regista Elke Burul. «Il testo ha tanti livelli di lettura. Ho scelto di andare un po’ più dentro le parole, in questa lingua che sembra difficile, in realtà è molto scorrevole. Mi interessava soprattutto il punto di vista psicoanalitico dei tre personaggi. Non è un caso che la donna, Clelia, sia l’unica ad avere un nome. Nella mia idea deriva dal fatto che la donna è in grado di riassumere in sé vari ruoli, quello della moglie e dell’amante, ma senza giudizio. Come essere umano è intera: una visione molto moderna da parte di Svevo. Gli altri due non hanno un nome: uno è il marito e l’altro l’amante. È come se fossero le due parti scisse dell’animo maschile che Svevo divide appunto in due personaggi diversi, ma potrebbero essere un personaggio unico se solo la figura del maschio fosse in grado di accettare entrambe le parti».
L’amante: Certo! Se io fossi vedovo, sono sicuro che dovrei avere dei rimorsi. Io le donne non le posso soffrire. Parlo naturalmente di quelle che conosco io. Quando le attendi non vengono mai e quando son venute non vanno mai via. Di’ la verità! Con me puoi essere sincero! Mai ti avvenne di augurarti che tua moglie da una dolce forza imperiosa che non le torcesse un capello fosse trasportata lontano da te, per esempio sul Monte Bianco?
…
Clelia: … Il dottore ti aveva detto: Pericolo non credo ci sia, ma ne avremo per alcuni mesi. Sarà un affare lunghissimo. Tu subito pensasti: La piccola bestiola… (Il marito protesta.) Proprio cosí: La piccola bestiola
…
Il marito: … Che cosa fai tutto il santo giorno? Adesso non hai piú né pelle né unghie da nettare. Dici che sei occupata. Dirigi il mondo, tu?…Neppure dopo morta non capisci niente di affari? Sei davvero un bello spettro tu! … Ma sei testarda! Cerca d’intendermi. Hai conservato quel caratteraccio che finché fosti viva formò la mia infelicità.
Clelia, la defunta moglie e amante, mette a nudo attraverso una riapparizione post mortem, le meschinità dei due uomini che dicevano di amarla evincendo che di due non se ne riesce a far uno buono.
L’apparizione del fantasma è richiamato da una seduta spiritica, pratica molto di moda nel periodo sveviano e che lo stesso Italo ha riproposto nei suoi scritti più volte esprimendo chiaramente la propria opinione. Innanzitutto sia in questo caso come in casa Malfenti de La coscienza di Zeno, Svevo scrive di Zeno mantenendo un atteggiamento cinico e distaccato e il tutto si svolge per una diatriba amorosa. “Io non ho alcun’avversione per i tentativi di qualunque genere di spiare il mondo di là”, pensa, e conclude: “ero anzi seccato di non avere introdotto io in casa di Giovanni quel tavolino giacché vi otteneva tale successo”.
Dunque così come nel romanzo più famoso di Svevo anche in questo scritto, i due protagonisti maschili pongono due opinioni completamente diverse a confronto, ma entrambi ne escono sconfitti di fronte alla saggezza ed alla furbizia femminile.
Una fantasia in un atto, che grazie alla regia di Elke Burul, e all’interpretazione di Marzia Postogna, Francesco Godina e Valentino Pagliei, si è svolto nella leggerezza di un’ironia che maschera una realtà molto pesante.
In questa rappresentazione il famoso Ménage à trois ovvero una relazione, non necessariamente di natura sessuale, ma in ogni caso di tipo sentimentale fra tre persone, inizialmente fonte di fraintendimenti e divertimento per il pubblico, lascia spazio a meditazioni più profonde sulla relazione tra i generi.
Uno spettacolo che ha saputo conquistare per la leggerezza ottenuta nell’affrontare temi così importanti.
Uno spettacolo che nonostante i suoi dieci anni di vita risulta ancora splendere e conquistare.
Laura Poretti Rizman
di Italo Svevo
con Marzia Postogna, Francesco Godina e Valentino Pagliei
regia Elke Burul
DAL 17 AL 19 MARZO
TEATRO DEI FABBRI – TRIESTE
Biglietti in vendita presso la biglietteria del Teatro (Via del Ghirlandaio, 12 • tel. 040.390613/948471), presso TicketPoint (Corso Italia, 6/c • tel. 040.3498276), sulla App gratuita della Contrada e on line sui siti contrada.it e vivaticket.it.